martedì 27 gennaio 2015

Binario zero

Bruno mi aveva con sé da poco più di quindici anni. Eravamo una bella coppia ed io, leggera e agile, custodivo le speranze di un ragazzo un po' stralunato, ma ambizioso. Da studente di lingue straniere, aveva amato viaggiare e accarezzare sogni. Ma si era incastrato da quasi otto anni in un lavoro come addetto al call center per una compagnia di crediti e prestiti. Tutto ciò che non avrebbe mai voluto fare da ragazzo, lo stava facendo per un maledetto stipendio a fine mese.  Il lavoro gli aveva permesso di discolparsi dalla famiglia e di tenere quieta la sua ragazza con qualche cena esotica il sabato sera, per poter seguire in santa pace le partite del campionato la domenica. Io nel frattempo, cominciavo a fagocitare polvere e ricordi: principalmente foto, le ultime foto stampate su carta, parlavano di un pezzo di vita ormai messo da parte. Col tempo si era convinto di essere soddisfatto di sé e del suo sudatissimo contratto a tempo indeterminato, ma ogni sera spegnendo l'abat-jour si chiedeva chi sarebbe stato Bruno Martelli a ottant'anni.
Quella sera tornato a casa sembrava come se qualcosa l'avesse fatto esplodere, non seppi mai cosa gli accadde esattamente, ma aperta la stanza in cui ero rintanata, mi prese e mi appoggiò accanto a sé sul pavimento. Quando cominciò a guardare tutte le cose che avevo conservato per lui, il suo volto cominciò un po' a distendersi ed esausti ci addormentammo lì .
Ci ritrovammo fuori in una mattina in cui il sole era caldo e la stazione affollata. Era la giornata giusta per andarsene, restava da capire quale dovesse essere il nostro binario. Io ero un po' disorientata, non uscivo da quel ripostiglio da troppo tempo e mi sentivo goffa. Mi facevo trascinare carica di tutti quei ricordi che non aveva voluto eliminare. Credeva fossi l'unico modo per non perdere la consapevolezza di quello che stava facendo. Eravamo lì con la sola idea di fuggire dall'inerzia in cui vivevamo, ma non sapevamo dove diavolo andare.
Sulla banchina decise di fermare qualcuno: un barbone ci indicò il 3, un binario morto. Un intellettuale, senza alzare gli occhi dal libro che stava leggendo,  spiegò frettolosamente  di voler andare all’8. Un ragazzo in tuta, in sella alla sua  bici da corsa si fermò un istante a far chiacchiera:
"Io e lei tiriamo dritti al binario 13,  per non sbagliare".
Scartammo subito l'idea: non potevamo, significava bleffare ancora e non era il momento.
Una donna gli si avvicinò: sembrava fatta per essere ammirata. I capelli portati sul lato le cadevano sul seno, le labbra rosso cremisi e un filo di mascara evidenziavano il viso perfetto.
"Mi aspettano tutti all'11. Viene anche lei?" - disse senza guardarlo.
Bruno balbettò qualcosa. Lui era titubante ed io ormai certa della mia inutilità. Decidemmo di starcene lì e aspettare un segno.
Un vecchio si avvicinò a noi con fatica. Avevo la tremenda sensazione di conoscerlo. Afferrò Bruno per la giacca, tossiva e parlava appena.
"Signore, sta male? Signore?!"
“Non so.” rispose.
Prima di accasciarsi a terra mi colpì e caddi con lui. Morì, senza dire nient'altro.


Bruno ne aveva compiuti ottanta. Alla stazione tutti sapevano di noi. E tutte le valigie avevano una destinazione. Io no. Una mattina il capostazione gli portò il caffè. "Hai visto? Hanno aperto il numero zero: una sola corsa, scegli la data e il treno ti ci porta".
Bruno alzò le spalle, scolò d’un fiato il caffè e ripose a monosillabi: “Non so.” Disse “Non lo so più”.

Poi cadde, portandomi giù con sé. Ricordo perfettamente il momento in cui mi colpì.

giovedì 13 novembre 2014

Il poeta e il bancone

Sono un pezzo di legno
una volta pregiato,
ma tu mi abbracci
con i gomiti larghi
perché altro non puoi.

Reggi tra le mani
un bicchiere
quello della staffa,
per diluire il rosso
troppo denso
della sua assenza.

Ah! Se l'avessi amata,
se l'avessi cercata, ti dico
nei tunnel neri e
ricciuti dei suoi capelli
inespugnabili.
Se l'avessi conosciuta...
Ma non l'hai fatto.

Capisco amico mio,
troppo presa era lei
a difendersi da guerre
e da crisi
che non ha avuto mai
e a riempire le cose
di sentimenti
che non erano lei
e non erano te.

No, non cadere.
Sorreggiti pure a me
finché ti va;
così che possa percepire 
ancora un po' la tua anima
e la vostra pena.
 
E ora?
Non hai niente
da offrirti
se non la staffa
stanotte.
Alla tua.




martedì 11 novembre 2014

Servomuto

Ho sentito, lo giuro,
un servomuto parlare d'amore
ad una camicia che in silenzio
lo abbracciava leggera.

- Proteggimi nel sogno
dal fumo e dai comignoli e
lasciami volare con gl'occhi
nell'altrove - Diceva.

Ho sentito un servomuto
parlare d'amore ad una camicia,
lo giuro,
di tramonti di sangue e
orizzonti lontani
dove lasciare gli occhi al vento.

Seduti su una pietra
accarezzata dall'acqua,
lei lo abbracciava.



giovedì 6 novembre 2014

Come un giglio



Foto di Annamaria Mazzei


Un fiocco sul tuo viso
quel sorriso ingenuo
profuma di lavanda.
La  tua gentilezza
ammutolisce gli stolti
ripaga i simili.

Ti riconoscerò da lontano
amica cara,
come un giglio
nel campo gonfio
di torba e di guado.
E non sarai sola.

Ché ci son delle volte
in cui non se ne può più
delle banalità del male,
ci provasse ad essere un po' geniale!
  
E si rifugia lei
in una vecchia foto 
sbiadita dal tempo,
dove tutto sembra diverso. 
Tutto in quel silenzio
aderisce all'anima.
Il respiro si fa armonico
diviene storia.

Forse è la materia
di cui siam fatti sogni.
E non sarai sola,
non sarò sola.

giovedì 25 settembre 2014

Vorrei più niente al mondo

Foto di Annamaria Mazzei
Vorrei più niente al mondo
e non stiamo parlando del Niente,
ma di niente.          
Di ciò che non s’ha da dire,
di ciò che non si voglia,
né deve dire.
Nemmeno tra le righe di un foglio bianco
di quell'istante in cui la parola manca
manca e non vuoi che arrivi.
È riposante il niente,
ci si trova in un grado zero, fluttuante
come il galleggiante del water,
un istante dopo si può precipitare
come Icaro o spiccare
come una medusa
dalla bellezza invisa
Perché fa paura il niente?
Bisogna rigurgitare
spazzatura di ogni sorta
per sentirci su questo mondo?
Vorrei più niente al mondo.

domenica 30 marzo 2014

Età del nero

Una storia che sporge
su d’una distesa di specchi
il riflesso è poco più che un nulla 
opaco
appannato 
dall'alito di racconti 
e di facili simpatie.

Nero
Ogni Età ha il suo colore
la scala è giunta qui.

Narcosi di Sisifo
e dei suoi figli:
igiene del mondo
falcidia acquiescente di barbari


venerdì 28 marzo 2014

Vorrei più niente al mondo


Vorrei più niente al mondo
e non stiamo parlando del Niente,
ma di niente.          
Di ciò che non s’ha da dire,
di ciò che non si voglia,
né deve dire.
Nemmeno tra le righe di un foglio bianco
di quell’istante in cui la parola manca
manca e non vuoi che arrivi.
È riposante il niente,
ci si trova in un grado zero, fluttuante
come il galleggiante del water,
un istante dopo si può precipitare
come Icaro o spiccare
come una medusa
dalla bellezza invisa
Perché fa paura il niente?
bisogna rigurgitare
spazzatura di ogni sorta
per sentirci su questo mondo?
Vorrei più niente al mondo.



domenica 19 gennaio 2014

Stupefatta e muta

Si cade ancora su frattaglie di sé stessi
dietro  gli angoli di queste stanze
dietro gli angoli del tuo volto.
Resto sorpresa dalle mille assonanze
e dalle esitazioni che dividono
e  arricchiscono l’anima
nella notte calda di respiri.
Mentre dormi nel tuo altrove,
resto in veglia
a disegnare la schiena,
isola di silenzi
che ho imparato ad amare
sola, 
nel mezzo d’oceani vacui.
Ti lascio andare, 
ma mi rincontrerai
stupefatto e muto
sulla battigia
dopo attimi di eterno
ad inciampare su di noi.


Il mio paese è incartapecorito

Il mio paese è incartapecorito perché ci ha educato a recepire la parola arte e la parola cultura sempre correlate all’immagine di passatempo, svago, orpello da mostrare in bella vista.  E si rimane delusi quando si scopre di non essere nati geni. I geni sono coloro che vivono le proprie inclinazioni, artistiche o meno, in forma di vocazione, professione  (beruf dicono i tedeschi) identificabile con l’io proprio, a tal punto dunque da divenirne malattia e ragion d'essere. Il fare arte e cultura, così come l’usufruirne, in Italia invece è stato assimilato ai fenomeni psicologici di tipo post-adolescenziale. Qualcosa che rende istrionica e fascinosa una persona, ma non qualcosa che può rendere la persona un professionista o un critico esperto di quell’arte, mai.

venerdì 20 settembre 2013

Due apnee



Mi sono ritrovata a piangere, ma proprio a singhiozzi, come quando ero piccola, impaurita e smarrita. Di cosa, di cosa? Trauma post-laurea lo chiamano. Di vero c'è che questo trauma ce l'ho a 29 anni suonati e ora mi sembra di aver perso troppo tempo, e l'ho perso dandomi degli alibi, lavori su lavori, tutti umilissimi, tutti che non hanno a che fare una ceppa con i miei sogni. Ed ho sbagliato. Questa è la verità. L'alibi era quello di aiutare la mia famiglia ad alleggerire il peso della mia università. La verità è che a me di studiare e basta non mi andava proprio. Ed ora mi sento già fuori dai giochi, ancora prima di cominciare e non so nemmeno da dove cominciare. Mi sentivo una bambina e poi un adolescente e poi una ragazza e donna speciale, sui generis, con grandi sogni, passioni e capacità. Ora mi sento zero. Z E R O. Come i punti della mia tesi sudata e bistrattata per un litigio con la mia relatrice. Come si fa a riprendere in mano i propri sogni? Sogni di cui mi nutrivo, sogni e passioni grazie ai quali mi sentivo diversa e quanto meno non mediocre. La realtà me li ha tolti, e senza di essi mi sento schiacciata a mangiare la polvere e a sentire il puzzo dell'asfalto, e la nausea trasale ogni volta che torno a casa dopo il lavoro da cameriera. Il fatto è che mi sento fottuta, come una tontolona, mi sono fatta fottere dall'idea del non fermarsi e del "tirare a campare che è meglio ". E non mi fermo più a sognare, non mi fermo a pensare a cosa e chi voglio essere. Devo farlo, devo ricominciare a farlo. Ho da chi prendere esempio, da chi ha il coraggio di puntare tutto sulla sua passione, non perdendola mai di vista, anche a costo di schiaffoni da parte della nuda e cruda concretezza, che non capisce, proprio non vuole accettare chi vive con la testa tra le nuvole. 

A dire il vero, che ci han fottuti tutti lo sapevo bene già da un po'. La nostra generazione, puah. Io non me ne sentivo parte e a quanto pare nessuno impazzisce dalla voglia di identificarsi in un bacino di prede così grande, ma questo siamo. L'università è una calda culla che ti tiene nella bambagia per un bel po' ogni tanto ti da qualche schiaffone da cresimante giusto per farti assaggiare come è fatto il mondo. Ma fondamentalmente sia chi è dentro, sia chi è fuori ha il cervello in pappa, pieno di stronzate, come il lactobacillus, vita snella e  il caffè con l'aspartame.  Per non parlare degli anarco-vegan, dei fascio-comunisti, o dei cattolici-miconsenta: seghe mentali su chi deve mangiare, quanto deve mangiare e soprattutto come e cosa mangiare. Che mi ci metto anche io in mezzo, non pensate che mi escluda: ora bevo caffè amaro per darmi un tono, che sia nero, che più nero non si può, ma non mi piace la miscela araba, la miscela la preferisco latina. E lo yogurt, lui lo prendo solo da bere. Sono stata anche vegetariana per riempirmi di sensi di colpa e poi mi ho smesso perché dovevo alleggerire il peso delle colpe sulla mia spalla e come se non fosse abbastanza ho iniziato a scrivere.  Poesie. Che mi viene da ridere. No, scherzo alcune sono anche belle, solo che fondamentalmente anche loro parlano di tutti i macigni non digeriti che ho in gola, dai più piccoli ai più grandi. E non smetterò di scrivere, anche con la sola mente, credo mai. Mi serve e vorrei che qualcuno mi leggesse e sentisse come se fossero urla di risa, di rabbia o di pianto. Devo fare un po' di rumore in qualche modo e questo è l'unico modo che conosco, l'unico modo che voglio imparare sempre di più a conoscere.